Nonostante  “Super Size Me” (film uscito vent’anni fa) abbia decisamente contribuito a scatenare una reazione contro McDonald’s, il settore, oggi, sembra più forte che mai:

 “L’America è ormai diventata la nazione più grassa del mondo. Congratulazioni” – racconta una voce – “Quasi 100 milioni di americani oggi sono sovrappeso o obesi”.

Alla fine di questo soliloquio, iniziano i titoli di testa, accompagnati da “Fat Bottomed Girls” dei Queen: Ė così che inizia “ Super Size Me ”. Diretto e interpretato da Morgan Spurlock, il film ha incassato più di 22 milioni di dollari ed è stato un grandissimo successo.

Trama e conseguenze

La trama racconta del signor Spurlock, il quale decide di mangiare solo McDonald’s per 30 giorni, evidenziando gli effetti negativi che questa dieta ha avuto sulla sua salute.

Sei settimane dopo l’uscita del film, McDonald’s ha interrotto il suo menu Super Size, pur dichiarando che, questa decisione, non aveva “niente a che fare con il film”. Potremmo definire quel momento un momento culturale, di vera e propria crisi del marchio del fast food.

Due decenni dopo, non solo McDonald’s è più grande che mai con quasi 42.000 sedi in tutto il mondo (700 in Italia con 35 mila dipendenti), ma continua ad essere in forte espansione. Oggi, In America, il fast food è il secondo più grande settore d’occupazione privata del paese dopo gli ospedali, e  più di 115 milioni di persone  mangia fast food ogni giorno. Le tre principali attrattive del fast food restano inalterate: è economico, conveniente e alla gente piace il suo sapore.

Nonostante i risultati finanziari del settore siano rimasta in gran parte inalterata, l’immagine ha invece subito un forte contraccolpo, al punto che, i fast food, sono stati paragonati alle industrie del tabacco.

Questo problema aveva maggiormente a che fare con i bambini, visti come consumatori ignari e vittime delle scelte dei loro genitori, della pubblicità predatoria del settore, o di entrambi.  Così che, presi dall’ispirazione del film “Super Size Me”, due genitori di New York hanno intentato una causa contro McDonald’s, sostenendo che il cibo dell’azienda aveva reso i loro figli gravemente obesi.

Non ascoltate gli haters

Le aziende del fast food sono state molto astute. Ritenevano che il marketing doveva rivolgersi ai bambini poiché creare clienti precocemente significava creare clienti per tutta la vita, e questa politica divenne sempre più chiaro a metà degli anni 2000: i tassi di obesità infantile erano quasi triplicati in 25 anni e la protesta pubblica stava diventando sempre più urgente. Un consorzio di grandi marchi alimentari, tra cui McDonald’s, Burger King, PepsiCo e Coca-Cola, ha cercato di risolvere il problema. Hanno formato la Children’s Food and Beverage Advertising Initiative e le società partecipanti hanno autoimposto limiti alla pubblicità rivolta ai bambini sotto i 13 anni (poi 12), ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La crisi venne poi gestita con lo stesso strumento che aveva causato il problema: il potente marketing. Oggi c’è stata di fatto un’evoluzione:

“Si stanno concentrando moltissimo su quelli che chiamano momenti preferiti dai fan, cercando essenzialmente di identificare il modo in cui ci si connette emotivamente a McDonald’s” –  ha affermato Kaitlin Ceckowski, che ricerca strategie di marketing per fast food presso Mintel, un’agenzia di ricerche di mercato.

Il Co-direttore creativo di W+K New York, Brandon Henderson, ha spiegato che:

“Quando abbiamo iniziato con McDonald’s, erano riluttanti a essere se stessi e avevano ascoltato gli odiatori sin dal documentario ‘Super Size Me’ . Penso che il grande cambiamento che abbiamo dato loro sia stato quello di smettere di ascoltare gli hater e ascoltare i fan”.

Per le agenzie, la stella polare di quella strategia era l’idea che “non importa chi sei, ma tutti hanno un ordine da McDonald’s”.

Una forma di partecipazione sociale e condivisa

Nell’era dei social media, i brand non hanno nemmeno più bisogno di fare pubblicità mirata ai bambini come in passato; oggi su TikTok e Instagram si vedono gli stessi contenuti che tutti vediamo, ogni giorno,  e anche i più giovani stanno ormai creando contenuti propri, partecipando loro stessi a  campagne di marketing con migliaia di video in cui si ordina, si scarta e si mangia.

Un  marketing virale, fatto da persone comuni, guidato dai social media e manovrato dal marketing dell’industria alimentare, tanto che, ciò che non è realmente cambiato è il cibo: lo stesso cibo dannoso di allora.

 

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