In una ricetta sono molte le variabili, e possono riguardare sia il territorio (due paesi vicini possono avere ingredienti diversi della stessa ricetta), che i cambiamenti personali per gusto, ideologia dietetica, innovazione, perdendone però la tradizione. La verità di ciò che sono oggi le ricette tradizionali, o meglio, il loro punto di partenza, è difficile da conoscere.

Il bello delle tradizioni

Oggi è il 29 ottobre, ultima domenica del mese; ogni anno, per tradizione, a Palazzolo Vercellese si organizza (ancora oggi) la Festa di fine raccolto, sia per ringraziare Dio per il buon raccolto del riso, che per l’anno lavorativo concluso. Dopo una solenne processione per le vie del borgo con la statua raffigurante la Madonna portata sulle spalle degli uomini, ha luogo  l’incanto delle torte: ogni agricoltore devolve un’offerta in denaro alla parrocchia e in cambio riceve una tradizionale csenta. Ecco il dolce di cui vi voglio raccontare.

Csenta (termine originario dal piemontese che significa torta) è un tipico dolce medioevale della provincia di Vercelli, anche se la ricetta autentica appartiene, per alla tradizione, a  Palazzolo Vercellese,  che dista a circa 24 km sud-ovest rispetto alla città di Vercelli[1].

Una ricetta dal medioevo

Da quanto raccontano le fonti scritte ritrovate durante il corso dei secoli, le origini della csenta si possono collocare già verso l’ultima parte del Medioevo, quando i forni presenti in paese erano riforniti delle materie prime necessarie alla produzione di questa torta tipica.

La ricetta originaria, quella più antica, è legata a ingredienti presenti nella tipica famiglia contadina. Fra questi, per via dell’importanza legata al gusto,  vi è lo strutto di maiale, sostituito nel tempo dal burro. Altri ingredienti sono la farina, il lievito, le uova, le nocciole e il miele.

Si impasta la farina con le uova[1] e il lievito e si lascia riposare alcune ore. Si aggiungono miele, strutto, nocciole, e si impasta bene nuovamente. Si lascia riposare una mezz’ora sotto un canovaccio, e si mette il tutto in una teglia ben unta di strutta e si fa cuocere per circa un’ora.

Questa è la ricetta che si trova nel libro “Alimenti e sapori perduti” – Dutch Communications & Editing ma io provo a darti la mia versione che vede l’olio extravergine di oliva invece dello strutto[2].

Csenta – una versione più leggera

Glutine: presente 

Difficoltà: Media

Tempo di preparazione: 30 minuti + tempi di lievitazione

Tecnica di cottura: Forno

Stagionalità: autunno

Utensili: Terrina, panno, teglia, grata per raffreddare.

Ingredienti

  • gr. 300 di farina integrale (io ho usato il farro)
  • ¼ di cubetto di lievito di birra + due cucchiai di acqua tiepida
  • un pizzico di sale
  • gr. 150 di acqua tiepida
  • Gr. 100 di nocciole tostate e tritate grossolanamente
  • ml 50 di olio evo
  • gr 100 di miele[3]

In una ciotolina sciogliete il cubetto di lievito con i due cucchiai di acqua. In una terrina capiente versate la farina, un pizzico di sale e mescolate. Aggiungete il lievito, l’acqua e impastate sino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Coprite la terrina con un canovaccio umido e lasciate lievitare per almeno 3 ore.

All’impasto lievitato unite l’olio, il miele, le nocciole, impastate bene e lasciate riposare per mezz’ora sempre coprendo con un canovaccio umido. Mettete in una teglia molto unta e fate cuocere a 180° (forno preriscaldato) per circa 25 minuti.

Veramente deliziosa!!

Elena Alquati

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[1]  Io ho scelto di non utilizzare le uova; se decidete di volerle utilizzare suggerisco uova di gallina che razzolano libere nel cortile e che vengano nutrite in modo adeguate. In questo caso unitele nel primo impasto e aggiungete acqua solo se necessario; poi procedete come indicato.

[2] La scelta dell’olio non è contro lo strutto ma è evidente essere uno degli ingredienti che va “innovato”. Lo strutto è un grasso di origine animale utile negli inverni molto freddi o nelle case dove il riscaldamento non è presente o lo è in modo insufficiente. I contadini avevano un dispendio energetico molto alto e non avevano certo problemi sedentarietà: lo strutto, nella vita moderna, difficile da smaltire. Un richiamo doveroso è nei confronti della qualità del cibo che scegliamo. Un assaggio occasionale “fuori dagli schemi” non deve farci vivere dei sensi di colpa, ma se vogliamo utilizzare lo strutto, scegliamolo di qualità e non da allevamenti intensivi.

[3] Io ho utilizzato il malto di riso. Se decidete di scegliere il miele, utilizzate un miele di buona qualità, non raffinato e acquistato da apicoltori consapevoli.