Ė recente la notizia del forte aumento sul prezzo del cacao (+62%) e il motivo sembra che sia stato attribuito all’importante siccità degli ultimi anni in Costa d’Avorio dovuta al cambiamento climatico. L’importante aumento sul prezzo non è la sola notizia che riguarda il cacao, se ne prospetta anche la riduzione produttiva.  Insomma il cioccolato costerà tanto e sarà poco reperibile per colpa del cambiamento climatico. Mi sorge una domanda che però tutti dovremmo porci: ma chi l’ha cambiato il clima, soprattutto in quei luoghi?

A quale prezzo?

In un recente articolo pubblicato sull’Espresso, Mario Piccialuti, direttore generale dell’Unione Italiana Food ha dichiarato che:

«Con oltre 165 mila tonnellate vendute nel 2021 e incrementi che sfiorano il 20 per cento rispetto all’anno precedente, questa categoria merceologica rappresenta l’evoluzione del consumatore che cerca la novità, ma anche un prodotto con percentuali sempre più alte di cacao» – «Il giro d’affari complessivo si attesta sui 5,9 miliardi di euro (+6,8%) ed è destinato a crescere sia in Italia sia nei Paesi che tradizionalmente importano le nostre eccellenze”.

I numeri in scala mondiale sono ancora più impressionanti: nel mondo si producono cinque milioni di tonnellate di cacao l’anno, la metà circa arriva proprio dalla Costa d’Avorio, poi dal Ghana.

Questa crescita dei potrebbe però essere una previsione destinata a invertirsi. Difatti, oltre a questo “cattivone del cambiamento climatico”, dall’Unione Europea sta per arrivare una nuova normativa per la difesa delle foreste che pare entrerà presto in vigore.

Riflettiamo anche su questi numero

La coltivazione del cacao da sola è responsabile del 30% della deforestazione nella Costa d’Avorio e nel Ghana. Questi due paesi producono i 2/3 del raccolto su scala mondiale e hanno già perso rispettivamente l’85% e l’80% delle loro foreste, senza risparmiare nemmeno Parchi nazionali e Aree Protette. È stato calcolato che il 40% del cacao prodotto in Costa d’Avorio proviene da zone protette, su un totale di 244 Parchi nazionali, Aree e foreste protette, circa 200 sono stati distrutti. A rischio sono anche le foreste del Camerun, Nigeria, Perù, Ecuador e Indonesia.

Che il cambiamento climatico sia un po’ colpa dell’ingordigia dell’uomo?

Il parlamentare europeo Christophe Hansen ha dichiarato:

“Fino ad oggi, gli scaffali dei nostri supermercati si sono troppo spesso riempiti di prodotti coperti dalle ceneri di foreste pluviali bruciate ed ecosistemi distrutti in modo irreversibile, con la conseguente distruzione dei mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene. Troppo spesso, ciò è accaduto senza che i consumatori lo sapessero. D’ora in poi, e la cosa mi solleva, i consumatori europei avranno la certezza di non essere più complici inconsapevoli della deforestazione quando mangiano una barretta di cioccolato o sorseggiano un meritato caffè”. 

L’allarme “Foresta Amazzonica” non è certo recente. Io stessa ho trattato quest’argomento più volte e mi sembra una grande ipocrisia stupirsi se in Costa d’Avorio c’è un clima che si alterna tra siccità e alluvioni devastanti. Il danno creato in quei territori per la mera soddisfazione del villi pendulo umano deve far riflettere e non solo per la deforestazione, ma anche per la povertà, il caporalato, la schiavitù e lo sfruttamento dei bambini.

E la chiamano tradizione

Il cacao ha una storia importante se pensiamo che i primi coltivatori furono i Maya e, come sempre accade, importiamo l’alimento senza preoccuparci di conoscerne la cultura; cosi dalle fave di cioccolato fermentate, arriviamo alle barrette piene di zucchero e chissà quale altro ingrediente, con la convinzione che i benefici siano comunque presenti.

Ricordiamoci inoltre che la richiesta del prodotto di un determinato territorio a livello mondiale, implica necessariamente una coltivazione intensiva.  Fare le campagne per un cioccolato sostenibile non ferma lo sfruttamento. Pensiamoci quando compriamo una tavoletta di cioccolato.

Elena Alquati