Si è aperta la 34° edizione di Officinalia e noi eravamo presenti, io, lo chef Francesco e il nostro amico Alberto Fusar Imperatore – agricoltore di riso (e non solo) biologico in Lomellina. Alberto ha aperto la conferenza raccontandoci  la sua storia, come si è avvicinato al biologico, il credo che ha nei confronti del bio e dell’amore che ci mette nel coltivare la sua terra.

Lo stesso amore di cui ci ha parlato lo Chef Francesco, quell’amore che mette quando cucina, quando prepara il pane, quando prepara il miso,  ed è  quell’amore di cui tutti noi dobbiamo andare alla ricerca, l’amore per quello che facciamo, per il prossimo, per noi stessi, per la nostra famiglia, per il nostro pianeta ….. per tutto l’Universo.

Il mio punto di partenza

Visto il tema, come punto di partenza ho voluto citare le parole di Carlin Petrini, parole dure, forti, e, anche se sono parole di qualche anno fa,  rispecchiano esattamente  la situazione di oggi, che nel frattempo non è migliorata:

“la situazione agricola nel nostro Paese e più in generale in Europa e più in generale ancora, nel Mondo, è drammatica. Un sistema alimentare criminale, un iper produttivismo che comincia a dare i segni di una sofferenza, non solo in campo ambientale, ma anche in campo sociale. I suoli erano più fertili, l’humus ha perso la sua ricchezza, manca l’acqua e l’agricoltura intensiva ha un consumo smoderato di acqua, per non parlare della qualità delle acque.

Si parla inoltre a sproposito di gastronomia.

Alla fine degli anni 50 il 50% della popolazione era contadina oggi solo il 3% di cui la metà supera i 65 anni.

Più  rispetto per chi lavora la terra che produce cibo, meno spreco, più diritto di accesso alla terra. Tornare alla terra non è impossibile, ed è nella natura dell’uomo vincere le sfide e in questo momento la più grande sfida che ha davanti l’umanità, è il ritorno alla terra”.

Tra infodemia  e incapacità di pensiero

Oggi possiamo attingere ad un immenso patrimonio di conoscenze inedite e,  nonostante gli sforzi che sono stati intrapresi per essere divulgate, non solo non riescono ad inscriversi nel senso comune delle persone, ma non riescono nemmeno a diventare cultura condivisa.

Siamo nel bel mezzo di una patologia incancrenitasi nel tempo: la “infodemia”, ovvero una quantità eccessiva di informazioni. Siamo in balia di questa continua emorragia di un sapere specialistico, sempre più frammentato, approfondito (a tal punto da non riuscire ad arrivare al suo inizio), ricco di fonti, spesso di dubbia provenienza e veridicità.

Di contro abbiamo un pubblico che sembra non essere minimamente scalfito dalle informazioni affidabili che cercano di sensibilizzare la responsabilità individuale.

Come fare? Una bella domanda

Bisognerebbe sapere come attivare una operazione di consapevolezza interiore di massa per predisporla ad un’ intima disponibilità di apertura e aiutarla a comprendere che  modificare le proprie abitudini e i propri “soliti” schemi mentali, può essere solo evolutivo; dobbiamo solo fermarci un momento per ascoltarci.

Questa prospettiva ha la capacità di unire l’uomo al suo ambiente in un rapporto di profondo legame, ed è ciò di cui l’essere umano ha bisogno: ritrovare le sue radici.

L’ambiente è il segnale che informa

Ci sono voluti dieci anni di ricerca investiti nel Progetto Genoma per avere dagli scienziati la seguente dichiarazione:

“siamo riusciti a trascrivere tutte le lettere che compongono il vocabolario genetico umano, ma non riusciamo a leggerlo perché non conosciamo il significato della grandissima parte dei segni”.

Ma, la scienza dell’epigenetica, ha dimostrato esattamente il contrario, ovvero che :

  • I geni non danno istruzioni, ma contengono informazioni utilizzate dalla cellula in relazione al contesto fisiologico;
  • La vita della cellula è controllata dal suo ambiente fisico ed energetico e non dai suoi geni;
  • Il carattere della nostra vita non è determinato dai nostri geni, ma dalle risposte agli stimoli ambientali che azionano la vita.

Eh si, forse abbiamo scordato che alla base della catena alimentare c’è la fotosintesi clorofilliana, processo durante il quale l’energia luminosa si trasforma in energia chimica. Producendo zucchero le cellule vegetali convertono l’energia solare in una forma di energia immagazzinabile.

Noi siamo parte dell’Universo

Se provassimo a scomporre ciò che mangiamo, troveremmo carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto, potassio, ecc., esattamente ciò che è stato aggregato nelle piante  attraverso la luce del sole (e non solo). Volendo, potremmo chiamarla anche energia solare aggregata.

Quando mangiamo, il nostro cibo viene scomposto dalla sua struttura originale, pianta o animale che sia, dissolto sino alla sua essenza e ricostruito in una nuova forma del tutto diversa, NOI, specchi fedeli dell’ambiente in cui viviamo. Possiamo definire questo processo come un trasferimento del nostro sé esterno al nostro sé interno attraverso il processo della nutrizione e alla nostra capacità di trasformarlo.

Come possiamo essere specchi fedeli dell’ambiente (naturale) in cui viviamo se ci nutriamo di “rappresentazioni”, ovvero di ciò che l’industria alimentare, attraverso il Marketing ci fa credere essere il cibo adatto; come possiamo essere specchi fedeli dell’ambiente se viviamo uno stile di vita inadatto all’essere umano; come facciamo ad essere specchi fedele dell’ambiente in cui viviamo se il nostro ambiente è insano, inquinato, e stressante. Noi riflettiamo esattamente ciò di cui ci nutriamo, in tutte le sue accezioni, e ci  stiamo allontanando sempre  di più  da quella naturalità a noi necessaria.

Cibo e costituzione

Davanti ad un pubblico numeroso, non ho potuto far a meno di parlare dell’importanza del diritto di tutti ad avere accesso ad un cibo appropriato per l’essere umano, che non solo lo nutra, ma che lo mantenga in salute.

Esiste un legame indissolubile  tra il diritto ad una “adeguata” alimentazione e la nostra Costituzione, e nonostante non vi sia riportato un esplicito riferimento, da una lettura sistematica emerge una chiara copertura costituzionale del diritto al “cibo adeguato”.

Nel nostro ordinamento il diritto all’alimentazione è tacito e implica che, nel momento in cui la malnutrizione (sia in eccesso o mancanza di nutrizione) sia tale da degradare l’essere umano, si ha una violazione della dignità umana, e questa va tutelata.

L’Ordinamento[1] dovrebbe quindi reagire quando:

  1. Il livello di accesso al cibo di ogni persona non è tale da garantire una pari dignità sociale;
  2. La retribuzione dei lavoratori (artt. 36-37 Cost.) o le misure di assistenza e previdenza previste (art. 38 Cost.) non siano sufficienti ad assicurare una dieta nutriente e sana per garantire il diritto di salute e di sopravvivenza;
  3. Quando la libertà di iniziativa economica possa ledere il diritto di accedere al cibo adeguato (art. 41 Cost).

E con questo ultimo argomento, ho concluso il mio intervento, nella speranza che qualche seme si sia sparso.

Elena Alquati food consultant

[1] “Il cibo” – avv. Benito Perrone