E pensare che c’era stato detto di “evitare la carne rossa” e aumentare il consumo di pesce per via degli omega 3. Da questo nuovo studio, forse, i suggerimenti nutrizionali scientifici, sarebbero da rivedere. E’ difatti emerso che minuscole particelle provenienti dal bucato, dagli imballaggi alimentari, da pneumatici, dai prodotti per la cura della persona e da altri articoli, finendo in mare, ci tornano indietro sotto forma di cibo, e ce li mangiamo, ad esempio, nei frutti di mare che consumiamo comunemente.

I ricercatori dell’Applied Coastal Ecology Lab della Portland State University hanno scoperto la presenza diffusa di materiali di origine umana (particelle antropogeniche), tra cui microplastiche, nel tessuto commestibile in alcune specie di pesci: scorfano nero, merluzzo bianco, salmone reale, aringa del Pacifico, lampreda del Pacifico e gambero rosa.

Secondo lo studio, pubblicato nel mese di dicembre 2024 su Frontiers in Toxicology ,  sono state rilevate più di 1.800 particelle nel tessuto muscolare in 180 dei 182 campioni individuali di frutti di mare.

Le particelle di origine antropogenica possono contenere inquinanti che, infiltrandosi nell’acqua e nei tessuti del corpo umano, aumentano il rischio di svariati problemi di salute, che vanno da disturbi ormonali al cancro. I campioni analizzati comprendevano pesci consumati sia dai predatori marini sia dagli esseri umani, implicando così un aumento delle concentrazioni di particelle man mano che si risale la catena alimentare.

“È molto preoccupante che le microfibre sembrino spostarsi dall’intestino ad altri tessuti come i muscoli”, afferma la coautrice dello studio Susanne Brander , professoressa associata di tossicologia ambientale e molecolare presso l’Oregon State University. ” Ciò ha ampie implicazioni per altri organismi, potenzialmente anche per gli esseri umani”.

Dalla fibra di cotone al polipropilene e alla fibra di vetro il pranzo è servito.

Il gambero rosa che si nutre filtrando l’acqua subito sotto la superficie, era, tra le specie campionate, quella che aveva il numero più alto di particelle all’interno dei tessuti commestibili.

Un singolo gambero rosa dal peso di 4,9 grammi ne aveva oltre trentasei tipi; il salmone reale, a confronto, aveva una quantità e una concentrazione più bassa di particelle antropogeniche.

Sembra inoltre che alcuni pesci diretti al mercato al dettaglio, tra cui appunto i gamberi rosa, durante la lavorazione potrebbero essere esposti a particelle aggiuntive, grazie a imballaggi di plastica utilizzati per la conservazione del pesce:

La stragrande maggioranza degli AP sospetti (65%) erano materiali quali cellulosa, fibra di cotone e acetato di cellulosa, con circa il 17% dei materiali completamente sintetici, il 9% semisintetici e l’8% naturali.

I tipi di materiali sintetici e semisintetici includevano polietilene tereftalato (PET), polipropilene (PP), polietilene a bassa e alta densità (PE), polietilene vinil acetato (PEVA), fibra di vetro e cartone semisintetico. Il team di ricerca ha anche trovato un esempio di un materiale comune utilizzato in corde marine, tessuti ignifughi e applicazioni militari.

Preoccupazioni nella catena alimentare e diritto al cibo sano

La documentazione scientifica sulla presenza di microplastiche nelle specie marine e d’acqua dolce, è sempre più evidente. L’aumento dei rischi per la salute di animali ed esseri umani, sta sollevando sempre più preoccupazioni, ma c’è anche una giustizia ambientale di cui non si sta tenendo conto: quella giustizia per le popolazioni che, dalla pesca, dipende la loro sussistenza e, pesce e frutti di mare, rappresentano un’importante fonte di cibo.

Alcune ricerche, come ad esempio quella di Granek,  ha rilevato che le ostriche del Pacifico contenevano circa 11 tipi di microplastica, mentre le vongole cannolicchio ne aveva circa nove; quasi tutte erano microfibre, probabilmente provenienti da indumenti sintetici o naturali, e da attrezzature da pesca consumate.

Un altro studio realizzato in Portogallo, ha documentato che l’ingestione di microplastiche  può causare danni cerebrali, alle cellule, ai tessuti e al DNA dei pesci selvatici:

“Per i produttori e i gestori di pesce, raccomandiamo di passare a metodi di confezionamento alternativi, come materiali naturali realizzati con cera d’api, amidi o zuccheri, che limiteranno l’introduzione di AP nel pesce al dettaglio”, affermano i ricercatori. “Per i consumatori, raccomandiamo di acquistare pesce intero locale, ove possibile, per ridurre al minimo gli AP introdotti tramite imballaggi di plastica”.

Come per molte altre situazioni drammatiche, per affrontare il problema, nella sua attuale portata, sono necessari interventi di politiche internazionali come gli attuali negoziati per il trattato globale sulla plastica e la sua eventuale applicazione.

Informarsi su quali sono le aree contaminate, può essere utile per evitare i molluschi e altri pesci provenienti da quegli stessi luoghi, ma se non cambiamo le nostre abitudini e non si riduca significativamente la produzione di plastica, gli effetti negativi a 360° potranno solo aumentare. Riciclare non risolve il problema.


Fonte e approfondimenti

https://usrtk.org/healthwire/microplastics-pollutant-particles-in-popular-fish/?mc_cid=6b27980291&mc_eid=59c45fd9b3

https://usrtk.org/healthwire/microplastic-in-leave-on-cosmetic-personal-care-products-is-understudied-research-urgently-required/

https://usrtk.org/healthwire/microplastic-in-leave-on-cosmetic-personal-care-products-is-understudied-research-urgently-required/