E’ da poco stato pubblicato sul New York Times, un interessante articolo di Joe Fassler in cui racconta la storia della carne prodotta in laboratorio; mi ha incuriosito molto e ho pensato di farne un riassunto, suggerendone la lettura integrale: unisce alcuni pezzi di un puzzle sino ad ora incomprensibile.

Scaricarsi dai sensi di colpa

Che con questo modo di produrre la carne non si uccidano animali e che il riscaldamento globale venga contenuto è un dato di fatto. Punto nevralgico di tutto questo? Una fabbrica ad alta tecnologia che ospita grandissimi serbatoi di acciaio e nastri trasportatori che srotolano bistecche sufficienti per nutrire un’intera nazione. Detto così sembra facile, etico e risolutivo.

Detto in poche parole sembrerebbe che siano necessarie poche cellule animali alimentate con i giusti nutrienti,  gli ormoni necessari, rifinite e sofisticate con tecniche di lavorazione, ed ecco il risultato: succulenti hamburger,  tranci di tonno, oppure costolette di agnello, il tutto senza alcuna preoccupazione esistenziale.

Possiamo definirla una visione legata sia al piacere di mangiare carne senza sensi di colpa, che alla salvaguardia dell’ambiente: si risparmia acqua, si liberano vasti territori occupati dagli allevamenti intensivi, si riducono drasticamente le emissioni di gas serra e si protegge la biodiversità.  Ma andiamo con ordine.

Piovono dollari ma …

Tra il 2016 e il 2022 aziende del mondo della finanza quali la SoftBank, Temasek, la Qatar Investment Authority; grandi aziende produttrici di carni come Tyson, Cargill e JBS; grandi celebrità come Leonardo DiCaprio, Bill Gates e Richard Branson – hanno investito ingenti capitali in questo progetto.

Secondo quanto riferito, sembra siano due le società start-up leader del settore – Eat Just e Upside Foods – le quali hanno raggiunto, in breve tempo, un valore pari a svariati miliardi di dollari. Oggi, alcuni di questi prodotti sono stati addirittura già approvati per la vendita a Singapore, negli Stati Uniti e in Israele.

L’altra faccia della medaglia

Dei 60 intervistati tra addetti ai lavori del settore, compreso persone che hanno fatto parte dei team dirigenziali di queste aziende, tutti hanno rivelato una litania di risorse sprecate, promesse non mantenute, scienza non dimostrata, e nonostante le aziende si siano affrettate a costruire costose strutture invogliando gli scienziati ad andare oltre il possibile:

  • I fondatori si sono auto-intrappolati in dichiarazioni irrealistiche venendo a meno dell’etica tanto enfatizzata, come ad esempio utilizzare ingredienti derivati ​​da animali macellati;
  • gli investitori, presi dall’eccitazione, hanno firmato assegni su assegni nonostante gli evidenti e significativi ostacoli tecnologici;
  • i costi non rientravano nella realtà e nessuno riusciva ad ottenere un dato che avesse un senso logico/imprenditoriale.

I deludenti progressi di questo settore diventarono sempre più visibili, e per molti investitori sarebbe stato difficile sopravvivere alla resa dei conti.

Ma cosa è andato storto?

Una domanda lecita, anche se in molti, forse, si saranno chiesti come fosse possibile credere in questo progetto. Certo convincere i carnivori a cambiare le loro abitudini alimentari non è una battaglia semplice, e nonostante resti evidente l’impatto distruttivo degli allevamenti intensivi sull’ambiente e sull’uomo, si continua a mangiare enormi quantità di carne, con un incremento negli utili delle aziende alimentari del junk food senza precedenti. Ma tutto questo è un motivo valido per fondare un progetto di questo genere? Siamo sicuri che non ci siano altre soluzioni?

Brevi accenni di storia

L’idea della carne da laboratorio sembra essere venuta a Josh Tetrick, già amministratore delegato in un’azienda alimentare vegana chiamata Hampton Creek, quando, frequentando la facoltà di giurisprudenza, lesse qualcosa che suscitò il suo interesse: gli scienziati finanziati dalla NASA avevano tentato di coltivare carne (carne di pesce rosso, in quel caso) in un laboratorio.

Nonostante il processo di realizzazione apparve subito complicato e molto costoso, Bruce Friedrich, presidente dell’organizzazione no-profit Good Food Institute, iniziò a diffondere l’immensa opportunità di questo investimento a tutte le società di investimento , gli acceleratori tecnologici e gli operatori storici dell’industria della carne. L’industria della carne aveva pronosticato che la domanda di prodotti bovini sarebbe diminuita del 70% entro il 2030, prevedendone la bancarotta ben prima di arrivarci; stessa sorte per l’allevamento di polli, maiali e pesce. Quindi era necessaria una soluzione.

Nel gennaio 2020 si sono raccolti 161 milioni di dollari, il più grande investimento reso pubblico per un’azienda produttrice di carne coltivata. Gli investimenti nel settore erano aumentati di oltre il 300% tra il 2020 e il 2021. Ma molti degli addetti ai lavori erano certi che la bolla sarebbe presto scoppiata. Difatti, di lì a breve, i costi previsti aumentarono vertiginosamente, e i finanziamenti per le start-up scivolarono verso un forte calo:

“Sono rimasto sorpreso”, ha dichiarato Tetrick, “dalla rapidità con cui i mercati dei capitali hanno chiuso” – tant’è che uno dei principali sostenitori delle aziende produttrici di carne in laboratorio aveva preferito cambiare rivolgendosi al  settore immobiliare.

Riflessione personale

Ora, è vero che siamo nel bel mezzo di una catastrofe globale su tutti i fronti, ma è evidente che, da qualsiasi prospettiva si guardino le cose, il problema è l’essere umano. Che sia  un politico, un imprenditore, un vegano, un carnivoro, o qualsiasi altra cosa, l’uomo non è in grado di avere una visione chiara su qual è il suo ruolo nel mondo; di quale sia la sua relazione con l’ambiente; di quale sia il suo rapporto con gli altri esseri viventi; di come si debba equilibrare  lo scambio tra ciò che la terra dona e l’utilizzo di ciò che dona. L’uomo distrugge a prescindere, accecato dall’arroganza, dalla sete di potere, dalla necessità innata di dominare: sino a che non ci si apre per vedere le cose con gli occhi del cuore e non con quelli del possesso materiale, non si arriverà da nessuna parte, anzi, abbiamo intrapreso la strada dell’autodistruzione.

Pensare che la carne coltivata sia la soluzione all’impatto ambientale degli allevamenti intensivi senza considerare tutti gli altri aspetti legati alla sua produzione come ad esempio il terreno utilizzato per costruire le aziende produttrici (migliaia di km2 di terra incementata), il consumo energetico, il costo in denaro, e tutto il resto che non sappiamo, è paradossale. Ma oltre a questo, quale sarà l’impatto sulla salute dell’uomo? Dove sono gli studi che hanno rilevato che non sussistono pericoli?

Riflessione 2

Alla luce di questo articolo, leggendolo tutto, mi sorge spontanea una domanda:”tutte le informazioni che divulgano su social, TV, giornali, ecc., quanto corrispondono alla realtà dei fatti?

Per risolvere questo problema, e qualsiasi altro problema, basterebbe una  dose di buon senso e di buona volontà per collaborare tutti insieme, mettendo da parte l’ego personale. Sarà possibile?

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